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Le testimonianze archeologiche rinvenute permettono di seguire nel corso dei millenni lo sviluppo dei primi insediamenti e le attività di questi antichi abitati dell'alta valle del Gizio. Da una situazione di nomadismo legata alla caccia d'altura si passò ad attività agro-silvo-pastorali e ad insediamenti più stabili.
Nel corso dell'età del ferro avanzata (VI-V sec. a.C.) si sviluppò un vero e proprio centro fortificato sull'area collinare del Monte Mitra. L'insediamento, preceduto certamente da una frequentazione assidua da parte dei cacciatori preistorici e protostorici, si rivela particolarmente importante per la sua estensione e per la posizione nel territorio di controllo e predominio su gran parte della Valle.
Venute meno nei secoli posteriori alla romanizzazione le esigenze di difesa, si svilupparono nelle zone a valle, a nord del paese attuale, piccoli insediamenti secondo il sistema paganico-vicano tipico in queste zone in età repubblicana.
I numerosi ritrovamenti di materiale dell'età romana testimoniano antichi centri abitati, anche se non ci sono prove sicure sull'identificazione di tali insediamenti, come credettero alcuni storici locali. Tra i numerosi reperti antichi rinvenuti nel territorio o riutilizzati nel paese bisogna ricordare, oltre ad alcuni epigrafi in dialetto italico, un importantissimo frammento in greco "dell'Edictum de pretiis rerum venaliu", documento di carattere economico emanato nel 301 d.C. dagli imperatori Diocleziano e Galerio (in oriente) e Massimiano Erculeo e Costanzo (in occidente).
Il frammento, l'unico in greco conosciuto in occidente, fu probabilmente portato a Pettorano nel corso del XIX secolo e si conserva in una casa gentilizia privata. Al di là delle favole a sfondo storico rintracciabili in alcune pagine di storici locali, spesso eccessivamente campanilisti, le origini del paese attuale sono da ricercare nel periodo medievale, precisamente nella fase in cui i "pagi e i vici" di tradizione tardoantica venivano uniti in un unico complesso urbanistico per motivi difensivi, politici ed economici.
Uno storico pettoranese del XIX secolo, Nicola Bonitatibus, ha così ben descritto la formazione di Pettorano: "Undeci, ed anche più si vuole che fossero le Ville, le quali, unitesi in società circa il decimo secolo, si determinarono ad erigere Pettorano nel luogo dove al presente si vede. Lo circuirono di muri, e di torri, e lo munirono d'una fortezza, per far fronte a comuni inimici, ed agli invasori". Per Bonitatibus quindi, le originarie ville che avrebbero poi dato origine all'attuale abitato, potevano essere individuate nelle superstiti chiesette rurali, eredi degli antichi pagi e da lui recensite su tutto il territorio in numero superiore ad undici. Fino all'XI secolo il toponimo Pectoranum indicava genericamente un'intera vallata, tanto da trovare spesso nei documenti anteriori all'XI secolo l'espressione in valle "Pectorianu".
Soltanto dal 1093 il toponimo passò a designare più precisamente il castello: un documento del maggio di tale anno attesta infatti "Castellu qui Pectorianu bocatur". Nel corso dell'XI secolo si è dunque verificato ''incastellamento, termine con cui si indica la fortificazione di aggregati urbani esistenti o costruiti ex-novo, con delimitazione di un territorio giuridicamente soggetto ad un castello, inteso come concentrazione di uomini ed interessi.
Le importanti trasformazioni economiche attuatesi tra la fine del X e l'inizio dell'XI secolo crearono i presupposti per l'incastellamento del sito. Le interpretazioni etimologiche del toponimo Pettorano sono state diverse: secondo alcuni deriverebbe da "pettorale", per la forma a petto di corazza assunta dall'insieme urbanistico; secondo altri da "pettorata", termine dialettale con cui si indica una rapida salita, per designare in questo caso il dirupo che dalla valle del Gizio sale fino al Piano delle Cinquemiglia; altri lo spiegano come derivato dal sostantivo greco "preta", (= pietra, roccia) per indicare la natura rocciosa del sito; altri infine da "Pictorianus", nome di pagus, o di un fundus legato al gentilizio di età romana Pictorius, attestato epigraficamente nel vicino paese di Introdacqua.
Alla fine del XII secolo Pettorano, era la sede di un feudo che si intendeva dalla valle del Gizio verso il Piano delle Cinque Miglia e al Sangro fino alla futura Ateleta. Infatti, con i Normanni il Castello costituiva una già consolidata realtà economica e politica.
A capo del feudo troviamo un certo Oddone della famiglia dei Conti del Molise. Nel XIII secolo il Castello fu teatro di avvenimenti storici di grande interesse; nel 1229 l'esercito di papa Gregorio IX, guidato da Giovanni di Brienne, cacciò il duca di Spoleto della Marca, assediò Sulmona e conquistò il castello di Pettorano.
Qui si asserragliò Corrado di Lucinardo insieme a Roberto di Bacile (o Pacile), i quali avevano aderito al partito papale contro Federico II. Dopo questo episodio, che dimostrò l'importanza del castello come punto di difesa sulla via di comunicazione tra la contea del Molise e la valle di Sulmona, Federico II tentò di riportare la situazione sotto il proprio controllo nominando titolare del feudo il figlio, Federico detto di Pettorano, e facendo vigilare il territorio perché non vi dimorasse gente sospetta ed infedele.
Con la venuta degli Angioini l'intero feudo di Pettorano, insieme a Colleguidone, Pietransieri, Pacentro e Roccaguiberta, fu concesso al milite Amiel d'Angoult, signore di Courbain, venuto al seguito di Carlo I d'Angiò. Nel 1269 (tre anni dopo la vittoria di Benevento) i "traditori" che avevano parteggiato per gli Svevi vennero puniti con la confisca dei beni, ceduti poi a fedeli angioini. Tra i beni confiscati risulta anche una Bectonia di Cerrano, sita proprio nel territorio di Pettorano. Sempre nel 1269 il feudo passò ad Oderisio de Ponte, che pensò bene di donarlo alla figlia Giovanna andata sposa ad Agoto di Courbain, figlio di Amiel di Courbain. Nel 1310 il feudo fu trasmesso ai Cantelmo, probabili discendenti dei reali di Scozia, venuti in Italia dalla Provenza al seguito di Carlo I d'Angiò, i quali lo tennero per lunghissimo tempo, fino al 1750. Della famiglia Cantelmo vanno ricordati: Andrea (1599-1648) e Restaino (1653-1723), importanti uomini d'armi della loro epoca; il cardinale Giacomo (1654-1702), potente uomo di chiesa della Napoli del '600; Fabrizio (1611-1658) per le opere realizzate a Pettorano. Ad essi seguirono i Montemiletto, che lo tennero sino al 1806, anno dell'abolizione del regime feudale. Il castello di Pettorano rimase a lungo luogo di rifugio per coloro che si ribellavano al potere imperiale. In un documento del 1384 Carlo III di Durazzo ordinò al capitano di Sulmona di procedere contro alcuni "rebelles et infideles" del castello di Pettorano, i quali avevano sequestrato e liberato solo dietro riscatto un certo Coluccio de Regazio di Sulmona, fedele suddito di re Carlo. Per tutto il XV secolo, Pettorano ha costituito ancora una terra di rifugio per gli avversari del potere politico. Tale fenomeno, tra l'altro, fu favorito dal fatto che la struttura urbana era scarsamente abitata; si contavano solo 117 fuochi nel 1447, a causa della depressione economica che aveva colpito la zona: una terra di nessuno dove era assai facile trovare asilo politico. Nel XVI secolo la situazione cominciò a cambiare, quando nuovi edifici religiosi e civili contribuirono ad una rinascita edilizia del paese e ne definirono la fisionomia così come oggi è visibile. Il sistema della cinta muraria con le sei porte di accesso, di cui rimangono notevoli resti, vide la luce proprio nel corso di questo secolo, con un allargamento della superficie difesa e protetta dal "castrum". Questa espansione edilizia, simbolo di una ripresa economica e di un assestamento della situazione politica locale, continuò anche per tutto il secolo XVII, come ci testimoniano alcuni importanti particolari architettonici. Nel corso del XVII secolo si assistette ad un vero e proprio arricchimento della tipologia architettonica, con la costruzione o la ristrutturazione dei più imponenti palazzi nobiliari del paese, dal Palazzo Croce al Palazzo Gravina, dalla Castaldina al Palazzo Vitto-Massei. Il ruolo politico e culturale svolto dai notai, medici, avvocati a partire dal XVIII secolo fu significativo: questi "professionisti" costituivano infatti gli avamposti territoriali del potere centrale. Ancor più significativa risulta la tendenza illuminista di alcune famiglie borghesi di Pettorano; la scienza e la cultura cominciarono ad essere vissute con spirito più democratico e con maggiore professionalità. In tale ambiente spicca una delle personalità più significative dell'Ottocento abruzzese, il notaio Pietro De Stephanis, che affrontò la storia locale con i metodi della critica e delle scienze ausiliarie. Il suo contributo, che va ben oltre lo studio della storia locale, fu anche di carattere prettamente civico: da amministratore riuscì nel 1865 a far approvare al Consiglio Comunale una deliberazione contro la pena di morte, un atto di grande maturità democratica e civile, in un momento in cui non era certamente facile assumere decisioni così nette ed inequivocabili in un paese ai margini della storia. Nell'Ottocento Pettorano vede la realizzazione di importanti opere per migliorare la viabilità e favorire le comunicazioni con Napoli: il secolo XIX si apre con la costruzione di una nuova strada - la "Napoleonica" - e si chiude con l'apertura della ferrovia Sulmona-Carpinone. Nel centro abitato prende forma l'attuale Piazza Umberto I con la costruzione della Casa Municipale (1828) e la bella fontana monumentale con le statue di Antifirite e Nettuno (1897), addossata alla parete destra della Chiesa Madre. Dopo l'unità d'Italia il paese cambia denominazione e con R.D. 21.4.1863 n°1273, Pettorano assume il nome di Pettorano sul Gizio.
Dal punto di vista economico e sociale il fiume Gizio con le attività ad esso collegate (mulini, remiere, ecc.) continua ad avere una notevole importanza, tanto da essere oggetto, soprattutto per i mulini, dapprima di aspre contese con l'ex feudatario, il Principe di Montemiletto, e in seguito di grandi tumulti per la tassa sul macinato. Ma il fenomeno economico e sociale di gran lunga più importante per Pettorano, che emerge con forza tra fine Ottocento e la prima metà del Novecento, è quello dell'emigrazione. Nell'Ottocento l'emigrazione era soprattutto stagionale: centinaia di taglialegna e carbonai pettoranesi si recavano per gran parte dell'anno nel Lazio, in Campania e perfino in Liguria e Calabria per lavorare; alla metà del secolo più di settecento uomini migravano stagionalmente.
Tale fenomeno, pur avendo origine da condizioni di arretratezza e indigenza, creò le condizioni per un forte sviluppo demografico, che all'inizio del Novecento portò popolazione a circa cinquemila abitanti, rendendo Pettorano il centro più popoloso nella Valle Peligna, dopo Sulmona e Pratola Peligna. Le migrazioni stagionali crearono un'altra conseguenza dal punto di vista sociale: l'assenza degli uomini rese liberi posti di lavoro nel settore agricolo, affidato quasi esclusivamente alle donne, e consentì a molti abitanti di Introdacqua di insediarsi nelle case sparse presso Pettorano, sull'attuale strada provinciale dell'Albanese.
Nel XX secolo, il borgo fu interessato dal fenomeno dell'emigrazione, prima transoceanica verso le Americhe e poi verso l'Europa e il Nord Italia.
Pettorano ha avuto uno dei flussi migratori più elevati di tutto il Mezzogiorno e ciò è facilmente intuibile visitando un centro storico bellissimo ma ormai spopolato, abitato da circa un decimo della popolazione stimata agli inizi del Novecento.