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Abito Tradizionale

Costume caratteristico, quello di Pettorano, che si differenzia dagli altri in tutti gli elementi dell'abbigliamento tranne che per la gonna e sottoveste, che non presentano quasi mai differenze. Uno degli elementi che rende singolare questo costume è la grande tovaglia bianca di tela di canapa o di lino usata come copricapo, dialettalmente chiamata "la tuaglie". Questa era lunga circa 8 palmi, era decorata a volte con ricami fatti a mano e aveva alle estremità una larga frangia. Veniva sistemata in un modo ben preciso sul capo cosicché una metà, più larga, scendeva fino alla cintura, mentre la parte davanti veniva ripiegata tre volte per lungo dalla fronte in giù e rovesciata all'indietro sulla prima scendendo oltre le spalle; veniva in fine fermata sulla testa da uno spillone d'oro o con un lungo fazzoletto di colore nero, verde o rosso ("fasciatrelle"), confezionato in seta o velluto d'estate ed in lana d'inverno. L'applicazione della frangia fatta all'uncinetto o l'uso della trina per abbellire gli orli della gonna e della sottoveste era abbastanza frequente. La "nobilizzazione" del costume femminile avveniva comunque non tanto con fregi e ricami sulla gonna o sullo zinale, quanto attraverso camicie, tovaglie e fazzoletti finemente adornati da merletti. Possedere un indumento ornato, decorato o colorato era una vera e propria necessità per le donne abruzzesi. Al candido bianco della tovaglia si associa quello della camicia ("la cammiscia") in tela di lino, ampia e molto lunga (arrivava al malleolo). La scollatura tonda era poco ampia, grande abbastanza da farvi entrare la testa, ed era ornata da alto merletto. L'attaccatura delle maniche, ampie e leggermente arricciate in alto e più fittamente sopra il polso, era abbastanza bassa. In estate in genere si portavano rimboccate, mentre in inverno venivano coperte con maniche in lana che si attaccavano al busto (iu bust). Quest'ultimo, tessuto in panno di lana blu scuro e foderato con tessuto di cotone a righe, ha forma molto caratteristica: è aderente e alto abbastanza da superare il petto sia sul davanti che sul di dietro, mentre si abbassa sui lati; la sua larghezza lascia poi ampio spazio sul davanti dalla camicia al busto e sul di dietro è aperto e chiuso mediante laccetti. Due bretelle piuttosto lente partono dalle estremità laterali e poggiano sulle spalle e ad esse si allacciano le maniche durante l'inverno. Foderate con la stessa stoffa a righe usata per il busto, sono chiuse in fondo da tre bottoncini. La gonna ("vonna"), molto ampia e lunga fino alle caviglie, era costituita da quattri teli e confezionata in panno di lana blu scuro a tinta unita. Ricca di pieghe, era caratterizzata ad un lato da una apertura in cui si introduceva la mano in corrispondenza di un'ampia tasta staccata legata alla vita. Sulla gonna veniva sistemato il grembiule ("iu zenale" o "mantera"), arricciato in vita, di seta e lana bianchissimi. Lungo quasi come la gonna e generalmente ampio, presenta spesso delle tasche che andavano a sostituire quella interna. Le scarpe indossate erano semplici, e si usavano anche zoccoli con tacco e suola in legno e tomaia di cuoi nero aperta in punta e fissata alla suola con dei chiodi. Per quanto riguarda il costume degli uomini di Pettorano, c'è poco da dire: non erano molto ricercati nel vestire e gli elementi essenziali del loro abbigliamento erano i pantaloncini (lunghi un po' oltre il ginocchio), i calzettoni (lunghi e bianchi), la fascia di lana alla vita, la camicia bianca e il gilet.

Il Destephanis, nel suo intervento sul "Poliorama Pittoresco", ci fornisce una fedele descrizione dell'abbigliamento delle donne pettoranesi del suo tempo: "Graziosissima è la foggia di vestire delle donne di Pettorano sì artigiane che contadine. Stringono alla vita un bustino coperto di panno bleu o di somigliante colore fregiato nel petto di nastri o di laccetti di seta e oro; e vi si appiccano le maniche in simil modo fregiate, per mezzo di lacci, con nappe e fiocchetti pendenti pur di seta e oro. Vesti ampie e folte di piegature, cin un nastro all'estrema falda, o con trina a mezza gamba, ondeggiando loro sul piede; e sopra la veste cingono un grembiule ("senale" o "mantera", com'esse dicono) di seta e lana bianchissimo; comecchè abbiano alcune cominciato ad usarlo di altra tela colorata, ed anche di seta le più bizzarre. Ricopre il seno la candidissima camicia, che sino alla gola si stringe ornata di merletti più o men belli e sottili. Nell'acconciatura de' capelli sulle tempie imitano le donne civili. Copronsì il capo di bianca di canape o di lino che chiamano tovaglia, larga intorno a tre palmi, e lunga quasi otto, alle cui estremità lasciano pendente una larga penerata. Si distende questa tela sul capo in maniera che la metà scende larga alle spalle, le quali ne sono coverte sino alla cintura, l'altra metà dinanzi ripiegata tre volte per lungo dalla fronte in giù, nuovamente si rovescia sull'altra parte che covre le spalle; onde la persona dalla testa sino al busto è come chiusa in una cornice o nicchia di candidissimo lino, che rende le forme più leggiadre, e più vivace il colorito del viso. Calzano scarpe comuni, ed ordinariamente fanno uso ancora dell'antico zoccolo italiano. Solean pure nel verno cingere sulla veste un copertojo, per lo più rosso, di lana, piegato in due a coda di rondine, ma di presente ne è rimasta l'usanza pressoché alle sole vecchie. Continuano però a porsi sul capo, sulle tovaglie, in tempi piovosi, un pannicello di lana chermisino, o di altro colore, che chiamano "fasciatrelle". Usano per ornamenti orecchini di svariata figura, rosarii e filze di pallini d'oro intorno al collo, e collane e monili dello stesso metallo; alle mani anella con pietre o senza, ed altri simili fregi muliebri".

Nel vernacolo chiamasi "Patete" e "Patite", vocabolo che ha forse la stessa origine del provenzale "Patin", pantofola.

Costume muliebre di Pettorano sul Gizio
Costume muliebre di Pettorano sul Gizio
(foto di: Antonio Monaco)
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